Tra le mie convinzioni più incontrovertibili vi è quella che il design sia una ricchezza che nasce dal territorio italiano, dalla nostra cultura della bellezza e del ben vivere, e che ne rappresenta un’espressione caratteristica e unica, trasversale rispetto ai settori cui si applica. Un’espressione in grado anzi di potenziarli, rinnovarli, rilanciarli grazie alla valorizzazione del mestiere d’arte, altrimenti costretto spesso in rituali obsoleti. Affermare la centralità della cultura del progetto, e al contempo valorizzare la bellezza di un prodotto con un’anima, con una storia e con un’autentica legittimità, significa riportare fortemente al centro della riflessione la quintessenza dello stile italiano.
Il valore di una mostra dedicata al grande Maggiolini, che germoglia tra le tante suggestioni del Fuori Salone, sta dunque in questo dialogo ideale tra le radici e il futuro, tra una legittimità che nasce dalla perfezione del passato e una creatività che si proietta verso il mestiere (e l’arte, e la cultura) di domani. Un valore che è dunque profondamente educativo non solo per le giovani generazioni, ma anche per i clienti, per gli esperti, per gli estimatori: l’educazione del cliente al bello e all’eccellente è quanto mai necessaria per tenere alta la cultura del progetto ben fatto, evitando di farla naufragare in un mare di messaggi contraddittori.
Oggi più che mai sappiamo che non bastano più una linea ben tracciata, un materiale che incuriosisce, una certa pulizia formale per determinare il successo di un’opera di design: occorre lavorare sui valori autentici, su una perfezione che non sia superba affermazione di sé ma autenticità che non scende a compromessi. Come Maggiolini ha insegnato, e come questa mostra mirabilmente ricorda.
Ho sempre sognato una cultura del mestiere d’arte che esca dai sacri orti delle botteghe, degli atelier e delle aziende per diventare patrimonio nazionale condiviso e conosciuto: e come scrive Umberto Eco, “Lo sapevano anche gli antichi che i sogni possono essere rivelatori”. Essendo anch’io un po’ “antico”, voglio pensare che il mio sogno sia rivelatore e che porti a una creatività connessa al bello e all’arte, alla rivalutazione di una tradizione artigianale d’eccellenza che non è mera esecuzione ma appassionata interpretazione.
Nell’universo caleidoscopico e proteiforme del Fuorisalone, seguire la traccia dei sogni e dei valori può indicare un percorso meno scontato: un percorso verso i modelli più veri e positivi di un Paese che non si vuole arrendere alla volgarità, alla tautologia culturale, alla perdita di identità.
Franco Cologni, Presidente della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte
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